«Jenufa» di Janácek: un dramma sull’infanticidio
Si è arrivati in ritardo a scoprire quanta importanza abbia la drammaturgia musicale di Leos Janácek nel realismo musicale del primo Novecento, ma nei nostri teatri si sta recuperando il terreno perduto.
Soprattutto al Teatro alla Scala, dopo la magnifica «Katia Kabanová» della passata stagione, si è messo in scena un allestimento di «Jenufa» - l’opera più nota del compositore moravo che mancava dalla sala del Piermarini dal 1974 - in un allestimento proveniente dallo Châtelet di Parigi, firmato dall’ispirata mano registica di Stéphane Braunschweig. Uno spettacolo che, nella sua apparente semplicità, aiuta a comprendere il vero spirito di questa partitura.
Il suo linguaggio sa andare ben oltre la facciata di realismo toccato dalla dimensione popolar-folcloristica, trascende lo scavo del nuovo “discorso melodico” imbastito su un accurato scavo della prosodia della lingua morava e presenta il dramma della vicenda in tutta la sua soggiogante valenza tragica.
L’opera narra di un infanticidio che si consuma in un ambiente contadino poco propenso ad ammettere gli scandali. La sagrestana Kostelnicka, matrigna di Jenufa, è una donna dura e autoritaria; non può perdonare che la figliastra abbia avuto un figlio dal cugino Steva, che poi l’ha abbandonata. Per salvarla dal giudizio dei paesani, prima nasconde la donna nel periodo del parto, in seguito le assassina il figlio annegandolo nel fiume e raccontandole che il piccolo è morto di morte naturale mentre lei era in delirio per effetto della febbre. Poi la spinge a sposare Laca, fratellastro di Steva, da sempre innamorato non corrisposto di Jenufa, il quale, pur avendo sfregiato la donna per gelosia, perseverando nel suo amore riesce alla fine a conquistarla. Per quanto questa vicenda drammatica si colori, soprattutto nel secondo atto, di sfumature tragiche tali da far presagire un finale degno di queste torbide premesse, in realtà l’opera ci regala un finale aperto alla speranza di un futuro migliore. Il cadavere del piccolo viene ritrovato e Kostelnicka confessa il suo delitto pronta ad essere pubblicamente giudicata. Invece viene perdonata da Jenufa, la quale, come detto, troverà nell’amore per Laca consolazione e sostegno necessari a porre fine alle molte prove di una vita fino a quel momento assai difficile.
Dinanzi ad una vicenda di impronta così verista, qua e là pennellata dai colori paesaggistici che legano l’opera al sentore popolare della terra morava, non è l’elemento naturale o il senso di espiazione attraverso la sofferenza che interessa lo spettacolo di Braunschweig. La vicenda dell’opera è ambientata in un mulino, ma l’allestimento ne mostra solamente le rosse pale della ruota, unico elemento figurativo di uno spettacolo che invece si sviluppa in un vuoto spazio ligneo scuro vagamente claustrofobico e desolato.
Parimenti desolato è il dramma psichico che, come ci ricorda l’autore dello spettacolo, si sostituisce alla trama verista ed apre l’intero clima espressivo dell’opera ad un’atmosfera che scava nell’incubo delle lacerate interiorità dei personaggi, così da donare a questo allestimento una forza espressiva travolgente. Merito è anche dell’attenta e tesissima bacchetta di Lothar Koenigs alla testa della magnifica orchestra scaligera, ricca di colori e capace di miniaturizzare il linguaggio sonoro rendendo palpitanti anche i sospiri di questo universo musicale che sa essere sempre moderno nel forte impatto teatrale che lo contraddistingue.
Nella compagnia di canto, selezionata con grande cura, giganteggia l’inossidabile Anja Silja, una Kostelnicka dalla teatralità conturbante, nervosa ed incisiva. Brava è la Jenufa intensa ed al tempo stesso delicata del soprano Emily Magee, al pari dei due tenori nelle rispettive parti di Steva e Laca, il rude Ian Storey ed il solido Miro Dvorsky. Bravi Mette Ejsing (La vecchia Buryja), Gabor Bretz (Il capomastro), Gleb Nikolskiy (Il sindaco), Marion Ammann (La moglie del sindaco), Annely Peebo (Karolka) e Alisa Zinovjeva (Una pastora).
Successo vibrante per uno dei migliori spettacoli visti quest’anno alla Scala.
di Alessandro Mormile - 08/05/2007